Review: Tutto chiede salvezza

Tutto chiede salvezza Tutto chiede salvezza by Daniele Mencarelli
My rating: 1 of 5 stars

Troppo superficiale

hermio

Mi aspettavo di più. Non si capisce neanche quanta parte di questo libro sia ispirata a una storia vera e quanta sia fiction, ma presumo che sia 90% inventato e 10% esperienze reali. Ho a cuore le storie ambientate in manicomio o, più modernamente, nei reparti psichiatrici, e ho subito scelto questo titolo. Però mi sono stupita nello scoprire che erano solo 170 pagine. Nonostante tutto, il libro è molto ripetitivo e per niente profondo, quando avrebbe potuto esserlo, soprattutto se fosse ispirato di più alla storia vera. All’inizio c’è addirittura un’introduzione riguardante l’autore, ma è inutile e autocelebrativa, mi aspettavo ci fosse qualche reale indicazione su ciò che ha vissuto. All’inizio non c’è neanche scritto "tratto da una storia vera", quindi la mia ipotesi che sia per la maggior parte inventato resta.

Avendo frequentato l’ospedale, anche se non in un reparto psichiatrico, posso constatare che alcune situazioni sono veritiere e le ho vissute anch’io, come per esempio riguardo il personale. Ci sono dottori indifferenti e infermieri indisponenti, e sulle pareti continuano a troneggiare quadri dei posti del luogo, ormai ingialliti. Questo libro è ambientato nel '94, quindi è parecchio che sono appesi.

Ho vissuto anche le altre situazioni proposte, ovvero riuscire a stabilire un rapporto con gli infermieri, gentilezza per gentilezza, fraternizzare con gli altri pazienti, compagni di stanza e non, che sono sul tuo stesso livello e gli unici a capirti davvero. Tutto questo mi ha permesso di capire che si stava basando su un’esperienza ospedaliera vera, ma non per questo significa che sia psichiatrica, succede in tutti i reparti. Credo che il problema sia che lui ha vissuto questa esperienza negli anni '90 e ne ha scritto solo trent’anni dopo. Le impressioni primarie sono ormai sfumate e quindi ha farcito tutto con la fantasia, creando fiction più che la necessità di condividere una storia vera come avrebbe potuto benissimo fare.

È un peccato, perché avrebbe potuto rendere onore alle persone che ha conosciuto veramente. Invece mi sono resa conto che i personaggi erano tutti artefatti. Forse alcuni lo hanno ispirato davvero, ma il finale mi ha confermato che di basato sulla realtà c’è veramente poco.

La scena della finestra è esagerata, serve per creare dramma, ma in questo modo si perde tutto il senso del libro, che doveva essere come un reportage per aprirci gli occhi su un ambiente e un modo di vivere che ha bisogno di essere esplorato. Ci sono ancora tanti tabù riguardo alla psichiatria, tante paure e idee sbagliate. Non sono mai stata in un reparto di psichiatria negli anni '90 e neanche ora, ma ora le finestre sbarrate ci sono in tutti i reparti e credo che ci siano state anche negli anni '90 in psichiatria.

Il romanzo è molto lineare: giorno per giorno vediamo la vita del protagonista all’interno di un ospedale psichiatrico dopo che è stato ricoverato con un trattamento sanitario obbligatorio. Il problema è che non succede niente. Ci illustra brevemente il suo pensiero, ma da quello che capiamo è leggermente depresso, niente di catastrofico, tanto che riesce addirittura a parlarne liberamente come un ricordo lontano e quasi dimenticato. Lo scrittore aveva più necessità di scrivere un libro per il piacere di scrivere più che per condividere il suo pensiero e la sua esperienza, e si capisce dal fatto che non va mai in profondità, mai abbastanza. Non ci va né con la descrizione di quello che vide, di quello che prova, né di quello che ha vissuto. Inventando quasi tutti e tutto in modo abbastanza sterile, non riesce a darci la credibilità di quello che potrebbe essere stato.

Dunque la storia è un elaborato costruito in modo svogliato partendo da qualcosa di vissuto, ma perde il suo senso, talmente è farcito di fiction. Non c’è un solo personaggio ben costruito, rimangono tutti abbozzati.

Persino il finale lascia insoddisfatti: non succede niente, passano questi giorni di blanda terapia, il personaggio esce e poi? Niente. Non c’è un pensiero finale vero, non c’è un risvolto nella vita reale, non c’è la capacità di capire se effettivamente questo periodo è stato costruttivo oppure no. Concludo con alcune citazioni perché, nonostante tutto, ho trovato delle frasi interessanti, segno che c’era qualcosa nell’autore che avrebbe potuto dare vita a una storia più articolata. Ma ho l’impressione che lui non abbia voluto scavare a fondo, forse perché quei problemi che aveva non li sente più veri, li ha risolti, è passato troppo tempo. Poi ha basato tutto sul fatto che la presunta storia autobiografica avrebbe creato scalpore a prescindere. Non basta: sono argomenti delicati che sarebbero dovuti essere trattati con la passione che meritavano e che solo chi li ha vissuti avrebbe potuto esprimere.

"È dalle elementari che creo problemi. Sono un figlio uscito guasto dalla fabbrica."
Pagina 63

"Facciamo scorrere altro tempo, in silenzio, guardando la vita muoversi dentro l’uccellino, indaffarato nelle sue cose, nei suoi misteriosi pensieri, senza bisogno di dirci nient’altro."
Pagina 85

"Per lui sono un modesto meccanismo da rimettere in sesto, un meccanismo di fabbrica, di quelli commerciali, sfornati un poco storti dalla catena di produzione."
Pagina 110

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